La paura del caos

Rimango strenuamente convinto, ma forse sono vittima dello stesso problema che attribuisco agli altri, che la paura del caos sia il vero terreno fertile su cui costruire i complottismi.

Certo, su questo qualcuno può investire risorse per usare i media come grancassa, ma una pianta per crescere ha bisogno di terreno fertile.

Penso ad esempio alla rapidità con cui sono emersi i complottismi sul COVID e, da ultimissimo, sul massacro di Bucha.

Che cosa è il caos? È l’assenza di logos, di un disegno razionale che sostenga la realtà. È l’assenza di quella certezza che abbiamo mentre guardiamo un blockbuster americano, e cioè che alla fine andrà tutto bene, per quanto al momento le cose sembrino andare male.

Per alcuni è lo stesso Dio: in fondo alla fine ci penserà lui a risolvere le ingiustizie o a intervenire. Non diciamolo però a chi è morto nei lager.

Meglio un complotto del caos, perché sottende un ordine razionale: la volontà dei “poteri forti” di fare soldi o consolidare il proprio potere. I “poteri forti”, però, non possono esegerare, perché si fermeranno prima che la situazione precipiti, prima che i “poteri deboli”, di cui si servono, soccombano. Un padrone non può uccidere tutti gli schiavi, altrimenti non è più padrone di nulla. Deve limitarsi a tenere ben protette le catene dalla ruggine e sedare ogni rivolta.

Meglio il complotto rispetto a dover immaginare che forse non c’è limite alla malvagità, al pericolo. Meglio il complotto, piuttosto che pensare che davvero un virus possa fare milioni di morti senza la capacità di fermarlo. Meglio pensare che siano attori, quelli che giacciono distesi per le strade, perché è inconcepibile pensare che dei soldati sparino sui civili inermi. Impossibile credere che tanto orrore sia vero.

Come specie dobbiamo fare ancora molta strada prima di considerarci “adulti” e quindi responsabili.