Vie di uscita dalla crisi / Una generazione di confine

Noi nati all’inizio degli anni ’80 siamo cresciuti cogliendo gli ultimi guizzi dell’Italia spendacciona e ricca che da lì a poco sarebbe tramontata assieme alla Prima Repubblica. A noi era stato insegnato che esisteva il mondo ricco e il mondo povero, con l’eccezione di qualche paese che veniva definito “in via di sviluppo”. Mai avremmo immaginato che in realtà la nostra sarebbe stata una generazione di confine,  quella che ha davvero visto scivolare via gli ultimi granelli di ottimismo e di progressi fatti nel grande boom degli anni 60. Nei decenni successivi abbiamo visto erodersi un vantaggio che sembrava interminabile, e che invece è stato colmato anche dalla crescita che il capitalismo è stato capace di portare quasi ovunque.

La più grande vittoria della nostra generazione, se ci sarà, potrà essere quella dell’enorme cambiamento verso una imprenditoria più sana, più dinamica (cioè capace di rispondere rapidamente ai cambiamenti, cogliendo uno dei pochi vantaggi della piccola dimensione aziendale) e basata sulla ri-scoperta del valore. Soprattutto noi, figli della grande pubblicità degli anni ’80, abbiamo il dovere di imparare a vendere le migliaia di belle cose, in campo artistico, culinario e artigianale, che l’Italia ha messo nelle nostre mani.
Soprattutto dobbiamo imparare a venderci bene, cosa in cui siamo assolutamente scarsi, come mi sono sentito dire più volte quando ho parlato con persone di altri paesi (soprattutto inglesi e francesi). Dobbiamo smettere di sciupare le nostre cose e piantare le trivelle nel petrolio che la storia ha messo non sotto, ma sopra la nostra terra, valorizzando il bello, il lussuoso, il funzionale, il buono, il capace. Non credo che basti, perché sono anche convinto che ci voglia tanta industria avanzata per poter vivere bene nel club dei paesi ricchi, ma è altrettanto vero che dal saper valorizzare possono nascere ricchezze enormi per il nostro Paese.