Buzzword e realtà

Ogni anno si sente dire “questo sarà l’anno del …” a cui segue una parola chiave più o meno anglofona, e nel giro di poco tempo tutti ne parlano per un po’. Termini come: cloud, start-up, internet of things e altri sono i nuovi “ipertesto”, “multimediale”, “dotcom” ecc. La realtà però è molto più lenta delle “buzzword”, che sicuramente contribuiscono a definire percorsi di innovazione, ma che spesso si estinguono avendo generato apporti modesti al cambiamento.

Ad esempio oggi molti giovani e non giovani si lanciano nelle start-up, ma questo non significa che il concetto di “azienda che si concentra su una idea da sviluppare per la replicazione in serie” sia sostitutiva delle capacità imprenditoriali, e il risultato è che 8 su 10 falliscono in 6 mesi.
Un alto tasso di fallimenti non è di per sé un male, perché significa che molte energie sono dedicate alla ricerca, che per definizione è ad alto rischio. Ben diverso però è quando una start-up fallisce non perché l’idea iniziale è sbagliata, ma perché non c’è la “fibra imprenditoriale” capace di gestire il rischio e le inerzie naturali delle imprese vere e proprie.
Le buzzword racchiudono in parole semplici concetti complessi, e uno degli effetti collaterali è l’illusione della semplicità anche quando non esiste.