Recensione del film Antichrist

Attenzione! Nel post sono presenti riferimenti ad alcune scene del film!

Ho conosciuto Lars Von Trier grazie ad un amico, che tanti anni fa mi ha sfidato a guardare per una intera notte tutta la mini-serie di The Kingdom. Raccolsi la sfida e feci bene, perché scoprii un grande regista.

Pochi anni fa tornai, sempre col solito amico, a vedere Antichrist (2009) al cinema e rimasi subito piacevolmente impressionato da quello che a prima vista apparve un film forte nei contenuti e nelle immagini. Tuttavia, tempo dopo, mi resi conto che con questo film il regista aveva un messaggio molto più profondo da comunicare, perfettamente compatibile con lo stato di forte depressione che in quel periodo (per sua stessa ammissione) stava vivendo.
Gli attori (William Dafoe e Charlotte Gainsbourg) sono assolutamente all’altezza del ruolo e hanno saputo calarsi completamente nella parte. C’è da dire che a parte i protagonisti non ci sono altri personaggi che vadano aldilà delle comparse.
La fotografia è eccellente e contribuisce a caratterizzare le varie fasi del film. Lo stile è piuttosto simile al successivo Melancholia (2011), anch’esso film testimone di una grande depressione del regista.

Nel film si apre con la colorazione artificiale e il tempo rallentato della scena iniziale, quella in cui il bambino muore mentre i due hanno un rapporto sessuale. In questo modo la scena stessa viene così distorta e dilatata, da un lato amplificando il senso di impotenza di fronte alla tragedia che sta per compiersi; dall’altro lato è come se il coinvolgimento nell’amplesso, la vetta più alta di una vita sessuale fondamentale per la natura ed estremamente condizionante per ognuno di noi, rendesse impotente la madre di fronte alla tragedia, come se una natura assai cinica fosse capace, in un modo o nell’altro, di strappare via un figlio dalla madre.

Da questa scena si passa ad una immagine senza alterazioni, che ci porta per pochi minuti ad un mondo normale; è la scena nell’ospedale, dove il marito, psichiatra, convince la moglie a farsi curare da lui stesso, per superare il grave shock subìto. La scena però si chiude con un progressivo allargamento dell’inquadratura sulle radici di un fiore immerso in un vaso d’acqua; quasi come se fosse una immagine catturata col microscopio, si inizia ad intravedere un mondo molto complesso tra le radici della pianta, denso di attività e movimenti apparentemente caotici e sinistri.

Il resto del film è ambientato nel bosco “Eden” dove la coppia possiede evidentemente una baita. Da questo momento in poi la crisi della moglie si aggrava e strani fenomeni si manifestano. Il fil rouge è una progressiva identificazione tra la donna e una natura che si manifesta come aggressiva e malvagia; a questo punto poco importa chiedersi se sono stati gli studi compiuti dalla moglie l’anno prima in quella baita, relativi alla persecuzione della stregoneria nel medioevo, a influenzarla o no. Fatto sta che questo rapporto tra una natura malvagia e l’uomo ha come tramite la figura della donna (la strega appunto), che è ben diversa dalla figura materna rassicurante e positiva a cui il marito pare essere ancora cocciutamente legato.

Ad aprire gli occhi al marito ci pensa la natura stessa, per mezzo di una volpe, in una scena che è diventata la più famosa del film, e che personalmente ritengo una delle più significative di sempre. La scena è questa qua in basso, e per la cronaca è stata realizzata da un’azienda di effetti speciali polacca che ha realizzato un ottimo lavoro.

La volpe afferma una sola cosa, e lo fa tremendamente bene: il caos regna.
Qui c’è racchiuso tutto quello che da sempre caratterizza le due interpretazioni antitetiche del mondo: il classicismo e il romanticismo. Qui Trier prende una posizione netta a favore del romanticismo, spingendo all’estremo il concetto di caos. Una posizione fondamentalmente cinica, disincantata e contraria alle stesse radici della cultura occidentale contemporanea: la natura è caos, non c’è alcun ordine né alcuna morale. Non c’è bene e non c’è male, categorie soltanto umane che costituiscono una illusione in fondo pericolosa. La natura è fatta di predatori e di prede, di una vita che in fondo sacrifica ben volentieri se stessa in favore di altra vita, incurante dell’individuo e dei suoi sentimenti. Questo è il vero Anticristo in una visione che sconfessa la classica lotta tra Dio e il Diavolo, in fondo anch’essa portatrice di una simmetria a sua volta rassicurante e ordinata. La natura è caotica, e pare che persistere nel cercare di comprenderla secondo le categorie del bene e del male renda vano ogni sforzo. Del resto, con tutto quello che ci viene insegnato dalla cultura classica, quali risposte siamo riusciti a dare sull’esistenza dell’universo e sul suo “significato”?

Il marito non riesce ad accettare questa visione, accecato dalla sua certezza di poter ricondurre la mente umana ad un comportamento razionale.

Alla “verità” invece, la moglie giunge progressivamente e autonomamente, per via della sua stessa natura più aderente alla natura e alle sue leggi, in una escalation di violenza nei confronti del marito, figura simbolica in cui la nostra parte razionale, ancorata alla ricerca di un ordine universale e ad un bene che trionfa, tenta disperatamente di riconoscersi fino alla fine del film.

A questo punto il linguaggio forte, fatto di scene di violenza e di sesso più o meno malato, su cui forse troppi si sono soffermati senza guardare oltre, appare essere il mezzo più sincero con cui Trier, efficacemente, ci getta addosso il suo disincanto.

Bravo Trier!

Una nota decisamente negativa va al trailer italiano (vedi qua sotto) che pare pubblicizzare un film horror destinato unicamente al mercato home video.