Zuckerberg ha deciso: si cambia in peggio.

La decisione del creatore di Facebook ha deciso: stop alla raccomandazione di gruppi politici sulla sua piattaforma.

Insomma, una risposta perfetta che salva la faccia agli occhi dei polli che ci cascano da un lato, e che dall’altro che gli consente di alzare i profitti della sua compagnia.

Sì, perché come è stato più volte detto anche da esperti, Facebook rovina le nostre democrazie non certo perché suggerisce i gruppi politici, ma perché fomenta l’odio e premia i contenuti più truci, divisivi, rissosi. Sono poi alcuni partiti a mietere il raccolto: quando le opinioni sono state confuse coi fatti e la violenza verbale diventa l’unica moneta di scambio, personaggi come Salvini o la Meloni hanno si trovano già il lavoro fatto.

Se c’è un problema, oggi, è proprio quello di una politica che ascolta troppo e non propone nulla. Non è quindi togliendo i suggerimenti sui partiti (ma chi se li considera?) che si risolve il problema, perché sono proprio i canali non ufficiali, come i gruppi tematici e così via, i luoghi dove si gestisce il consenso.

Facebook e gli altri devono mettere in campo le risorse per chiudere le porte alla violenza e non incentivare le risse online, ma il problema è che questo farebbe calare drammaticamente il traffico sulle piattaforme, con conseguente crollo degli introiti pubblicitari, che potrebbero così essere ridistribuiti su piattaforme tradizionali che pagano le tasse e che sono soggette alle leggi nazionali.